La mobilità sociale nel terzo millenni: risorsa imprescindibile

La mobilità sociale nel terzo millenni: risorsa imprescindibile

Partire dalla definizione di un concetto significa, di solito, facilitare lo sviluppo dei ragionamenti. Inizio quindi sottolineando il significato di mobilità sociale. Esso riguarda il processo mediante il quale gli individui si muovono tra le diverse posizioni sociali all’interno della società cui appartengono. In pratica: rispetto alla posizione dei padri, come è cambiata quella dei figli?

Alcuni dati: in Italia la disuguaglianza delle opportunità è superiore rispetto a quella osservata in media nelle società avanzate. In una ricerca del 1997 si evince come la metà dei figli degli operai è rimasta immobile dal punto di vista sociale (riescono ad accedere alla classe superiore 2 figli di operai su 10 contro i 6 sui 10 delle classi più alte). La laurea ha più probabilità di ottenerla chi è già in alto nella gerarchia sociale (uno su tre della borghesia, uno su venti della classe operaia). In Piemonte la situazione dal 1985 ad oggi è fotografata  così: società leggermente più aperta ma miglioramento dovuto all’esplosione della classe impiegatizia rispetto a quella operaia sfiancata dalle innumerevoli crisi (si è ridotta di un terzo); un segnale non positivo è la classe della piccola borghesia autonoma che si è ridotta di un quarto nei suoi appartenenti.

Insomma il salto di classe risulta quasi impossibile!

Quali sono le cause? Successivamente all’esplosione economica post bellica e alla vitalità intellettuale e creativa garantita dai governi De Gasperi e dalla presidenza Einaudi, la sottile linea rossa si ingigantisce e si frappone alle spinte positive culminando nella nazionalizzazione dell’energia elettrica (provvedimento di per sé non criticabile) seguita al primo accordo tra DC e sinistra riformista (l’oggetto del reato); questa “risorsa rossa” ha permeato la società italiana attraverso le burocrazie parallele, le grandi incongruenze (si trafora il Monte Bianco ma non si fa l’autostrada, la fine – senza neanche l’inizio – della storia del nucleare in Italia; la conventio ad excludendum ma al tempo stesso il grande potere del PCI). Si assiste quindi all’imporsi di quello che io definisco il “blocco sociale ideologico comunista” ovvero una omogeneizzazione delle capacità ed un loro livellamento verso il basso, un’assenza di una vera e sana competizione fra le parti, uno strabordamento del sindacato, una politica debole rispetto all’esigenza di difendere i valori della società liberale. Naturalmente questa visione è contestabile ma mi permetto di evidenziarla perché fa parte di una delle facce dell’Italia: opportunismo politico più nocivo assistenzialismo fondato dai professionisti dell’acquisizione del consenso basato sul disagio sociale.

Quali soluzioni? Tenendo conto che siamo il Paese dei “No a qualunque costo e contro qualunque cosa” proviamo a dare delle idee; non speriamo nella loro attuazione, ma almeno in un po’ di attenzione.

I fattori che determinano la mobilità sociale sono: le aspettative di vita e salute, le opportunità e i vincoli nell’assetto delle famiglie, le difficoltà di professionalizzazione  dei giovani, la persistenza di un bagaglio culturale che ostacola il “salto di classe” facilitando la tensione quotidiana di conquistare, con qualsiasi mezzo, status più elevati.

Su queste basi fondiamo le nostre proposte che elenchiamo pedestremente per facilitarne la lettura e l’eventuale analisi:

– migliorare l’offerta formativa della scuola e la classe insegnante, senza soprusi e inutili accelerazioni ma con tenacia e determinazione

– aiutare il ritorno ad una maggiore selezione nel percorso scolastico favorendo il passaggio tra studio e lavoro e viceversa (ad esempio le “passerelle” della riforma Moratti e le pagelle sulla efficienza delle scuole) affinché non si riproducano le disuguaglianze di partenza

– incoraggiare la realizzazione di una parte importante della formazione superiore (ad esempio un terzo) in un altro Stato UE.

– maggiore spinta delle autorità comunali, regionali, nazionali ed europee nel colmare il divario tra il mondo degli studi ed il mondo del lavoro

– impostare una nuova qualità dello sviluppo basato sul riportare al centro l’essere umano. Ad esempio dando incentivi o riconoscimenti alle aziende che applicano questa strategia.

– promuovere l’apprendimento permanente (anche per prevenire le malattie senili) attraverso i due principi “apprendere ad apprendere” e “apprendere e trasferire”. Ad esempio: accesso gratuito all’istruzione e alla formazione nelle competenze chiave, indipendentemente dall’età.

– liberare risorse per le famiglie affinché i genitori siano liberi di impegnarle sui figli e sul loro sviluppo affettivo e intellettuale. Ad esempio: politica nazionale per la famiglia (intrapresa ma per ora solo accennata dal governo Berlusconi) e politica locale (azioni su Ici, Tarsu, addizionale Irpef, costo dei trasporti, politica di informazione sui prezzi, voucher scolastici, aiuto ai genitori nella scelta delle scuole attraverso le graduatorie e favorendo la competizione tra le varie scuole pubbliche e private,…)

– creare le condizioni per una cittadinanza attiva ossia far recuperare il senso di appartenenza

– aumentare l’abbordabilità e la disponibilità dei servizi di custodia dei bambini e di assistenza agli anziani

Insomma, con una battuta potremmo riassumere così: provare a far governare il centro destra dopo 30 di governo comunista sotto le forme più varie.