Dalla Chiesa. Il ricordo e l’esempio

Dalla Chiesa. Il ricordo e l’esempio

“Importante questo giorno perché ricorda chi ha ideato, gestito, impersonato nel comune sentire il contrasto al terrorismo e alla mafia. Dall’operato del Generale DALLA CHIESA traggo due insegnamenti in particolare: mai più lasciare soli chi combatte per la legalità e lavorare per il bene comune, a cui appartiene certamente il rispetto della legge, in quanto diritto delle persone e valore che deve permeare le coscienze di tutte le espressioni istituzionali che si riconoscono nello Stato Italiano”.

Questo il discorso che avrei tenuto oggi, in occasione della commemorazione, se lo avessi potuto svolgere, come era inizialmente previsto, in qualità di presentatore della mozione:

Un cordiale saluto al Ministro, alle autorità civili e militari presenti, e un bentornato nella nostra Città al Comandante Generale dell’Arma Leonardo Gallitelli, già a capo del Comando Provinciale di Torino dal 1988 al 1991. Suo tramite, Comandante, ringrazio tutti i Carabinieri per il lavoro prezioso e efficace svolto a favore dei cittadini italiani che essi ricambiano con la stima profonda nei confronti dell’Arma. Naturalmente, questo ringraziamento lo estendo anche alle altre forze dell’ordine e alla magistratura.Sono felice che il Consiglio Comunale di Torino abbia approvato, all’unanimità, l’atto che ha consentito di onorare la memoria di un eroe e servitore dello Stato Italiano al compimento dei 30 anni dalla sua morte: il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, piemontese, di Saluzzo. Non abbiamo avuto questa possibilità nella Biennale della Legalità, lo facciamo oggi. Consentitemi di accomunare nel ricordo, in questo breve intervento, anche la moglie Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo, uomo della sua scorta.Torino, capitale delle invenzioni e dei progetti che hanno cambiato il futuro, lo ha visto tra i suoi attori principali nella battaglia a favore della legalità. Ha ideato, gestito, guidato, impersonato nel comune sentire, finché è rimasto in vita, l’opposizione e il contrasto al terrorismo e alla mafia.

Carlo Alberto Dalla Chiesa, infatti, volle fortemente, proprio a Torino, nel 1974, il nucleo speciale antiterrorismo, da cui poi nacquero, nel 1990, gli efficaci Ros che, ricordiamo, furono determinanti nel 1993, con l’unità speciale Crimor, nata un anno prima, comandata dal Colonnello Sergio De Caprio, il capitano Ultimo, nella cattura del capo di Cosa Nostra Totò Riina; sono certo di non divagare nel ringraziarlo, ricordando al contempo anche gli altri 9 uomini impegnati, tra cui il torinese Riccardo Ravera.

Ritornando a quei primi anni Settanta, la politica, attraverso il Ministro dell’Interno Taviani, fu lungimirante e, nonostante il timore di personalismi, impose la nascita di una delle leve che consentì, nel tempo, di vincere il terrorismo brigatista (il 20 febbraio 1980 – cattura di Patrizio Peci).

Nato il nucleo, Dalla Chiesa ne fu posto al comando e la sua guida fece sbocciare un metodo. Un metodo che mutuò dalle tecniche imparate nel suo periodo trascorso nella Resistenza, a cui aderì nel 1943, e che basò sulla attività investigativa, sul gioco di squadra e il senso di appartenenza, sui cosiddetti infiltrati utilizzando sapientemente e con liceità “persone capaci e con fantasia”. Ricorda il generale Ganzer: “Oltre che una ricchezza personale”, spiega, “l’insegnamento di Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenta ancora oggi un patrimonio per l’Arma e per il Paese. Il suo metodo di lavoro, basato sull’analisi dei fenomeni criminali, a partire dalla loro struttura interna, e su un’azione di contrasto che punta alla disarticolazione delle organizzazioni, è un criterio ancora valido nella lotta alla criminalità organizzata”.

Dalla Chiesa combinava la severità con l’affetto, tant’è che Giorgio Bocca definì, in modo meritorio, il suo modo di essere come quello “di un capo” e lo stesso Generale disse in una intervista “amo i miei carabinieri di oggi e di ieri, anche se in congedo”.

L’umanità e il senso della famiglia del Generale emerge chiaramente anche dal diario personale tenuto dopo la morte per infarto della amata moglie Dora nel 1978 (che a lui, scrive, “ha dato tutto nel senso più pieno, più bello, più sano, ha dato i suoi misteri profondi di donna, di madre, di amica nobile”).

Che cosa ha lasciato come insegnamento, a mio giudizio, l’opera terrena di questo eroe dello Stato: sicuramente capacità di abnegazione, di servizio, di lavoro, di studio, l’umiltà dell’utilizzo del potere a favore dell’integrità dello Stato senza mai eccessi di protagonismo.

E la politica? La politica ha appreso di come non si debbano LASCIARE MAI SOLI coloro che si battono per la legalità, che colpiscono il terrorismo e la mafia con severità? Ha tratto spunto dalla dichiarazioni di Dalla Chiesa nella sua ultima intervista a Giorgio Bocca? “La mafia uccide il potente che è diventato troppo pericoloso ma è isolato”. Io sono certo di sì! Pur tra mille difficoltà, non si sono più percepiti tentennamenti, promesse di sostegno, istituzioni in fuga, zone d’ombra perché si è capito che la responsabilità è garanzia di libertà.

Luci ampie e non più velate sono, infatti, oggi evidenti. Rispetto a quegli anni, la cultura delle legalità e di contrasto alle mafie ha certamente permeato il cuore e la mente di molti cittadini e delle Istituzioni.

Esiste, allora, in me, un rammarico: sia Falcone sia Borsellino sia Dalla Chiesa, nelle loro ultime interviste, denunciarono l’abbandono da parte delle Istituzioni: tutte, non solo di quelle politiche. Abbandono significa anche non attenzione, scarsa capacità di incidere, assenza di chiara visibilità esterna (scrisse Dalla Chiesa all’allora Presidente del Consiglio Spadolini: “la mia eventuale nomina a Prefetto non può e non deve avere come implicita la lotta alla mafia”).

L’Italia deve avere la capacità, e sono certo oggi la si abbia, di non rimpiangere persone con questo senso della Stato, ma di difenderli quando sono in vita.

Infine, come Falcone e Borsellino, Dalla Chiesa ha lasciato un messaggio forte “l’arroganza mafiosa deve cessare!”.

Signora Ministro, autorità: forte e chiaro dico che questo monito determinato lo portiamo nel cuore e Torino, in tutte le espressioni istituzionali che si riconoscono nella definizione di Stato Italiano e in tutte le istituzioni religiose, si è impegnata, si impegna e si impegnerà per tramutarlo quotidianamente in azione concreta, consapevole dei suoi limiti di società composta da essere umani, ma cosciente di avere una aspirazione che diventa missione: il bene comune, a cui appartiene certamente la legalità, tesa anche alla libertà dal timore, un diritto delle persone e un valore presente nelle coscienze di ciascuno di noi.

Parafrasando il Generale: sono loro che devono cominciare ad avere paura dello Stato.