La Corte Costituzionale conferma che i referendum sui servizi pubblici furono una strumentalizzazione di alcuni a danno di molti

La Corte Costituzionale conferma che i referendum sui servizi pubblici furono una strumentalizzazione di alcuni a danno di molti

Il dibattito sulla creazione della holding e sulla vendita delle partecipate procede con le giuste tempistiche per una delibera di assoluta importanza per i cittadini torinesi, per i lavoratori e per il bilancio comunale.

Razionalizzare l’organizzazione e il servizio, non creare ulteriore indebitamento, tradimento dello spirito referendario sono i temi più discussi. Da parte nostra la linea di vendere, entro il prossimo anno, il 40% è valida. Mantenere sotto il controllo pubblico rilevanti servizi di natura economica, ma aprire ai privati che vorranno condividere la gestione del servizio è una cosa sacrosanta vista la situazione di grave crisi del bilancio pubblico sia di Torino sia dello Stato purchè, naturalmente, non si crei ulteriore indebitamento. Su questo tema stiamo lavorando per evitare che “apertura di linee di credito” si tramutino in ulteriore debito.

Una fondamentale novità arriva, però, da una sentenza della Corte Costituzionale. Essa fa capire come il referendum sia stato una strumentale operazione partitica e una illusione (presa in giro) per i cittadini che sono andati a votare.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 24 del 2011, proprio nel contesto dell’esame preventivo in ordine all’ammissibilità del citato referendum, si era così espressa: “Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte – sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (…)”.

Ora, secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa, appare scontato che la pubblica amministrazione che intenda acquisire lavori, servizi e forniture debba – e non semplicemente possa – rivolgersi al mercato nel rispetto degli istituti di derivazione comunitaria (Consiglio di Stato, sentenza 23 marzo 2003 n. 1289).

Secondo altro orientamento, ancora più recente, per i servizi pubblici a rilevanza economica degli enti locali, l’attuale quadro normativo non prevede l’ipotesi della gestione diretta (internalizzata), ciò a seguito della “…necessità di applicare la disciplina comunitaria ai servizi pubblici locali a rilevanza economica” (Tar Emilia Romagna, sezione I, sentenza n. 460 del 2010).

In pratica, è cambiato molto poco con il referendum abrogativo della normativa vigente in materia di gestione del servizio pubblico locale.

Nella vigenza dei principi comunitari, l’abrogazione dell’articolo 23-bis non centra l’obiettivo che i referendari si erano proposti.

La vacatio iuris che si è venuta a creare, per effetto dell’abrogazione della disciplina sui servizi pubblici di rilevanza economica, trova la sua naturale rete di contenimento legislativa proprio nelle disposizioni contenute nel Trattato della Comunità Europea e più precisamente nell’articolo 86, paragrafo 2, trasfuso nell’articolo 106 del TFUE.

La norma in parola stabilisce che “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.

In effetti, non era pensabile che un referendum a carattere nazionale potesse incidere anche l’ordinamento comunitario.