Tibet: difendere i diritti umani e la libertà di culto – CittAgorà

Tibet: difendere i diritti umani e la libertà di culto – CittAgorà

L'incontroUn popolo senza Stato. O meglio, con uno Stato che non ha liberamente scelto. Dal 1950, è questa la situazione in cui vivono i tibetani. In quell’anno, la neonata Repubblica Popolare Cinese invase il confinante Tibet con il suo esercito.  Alcuni anni dopo, il 10 marzo del 1959, esplose la rivolta contro gli occupanti, repressa nel sangue di migliaia di vittime. Risale a quell’anno l’esilio all’estero del XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, con la formazione di un governo tibetano in esilio, con sede nella città indiana di Dharamsala. Ancora nel 2008, una violenta rivolta a Lhasa, la storica capitale tibetana, è stata repressa dalle autorità cinesi, alle quali l’opposizione tibetana rimprovera una politica di genocidio culturale e di colonizzazione interna. Il governo tibetano in esilio ha da tempo abbandonato la prospettiva indipendentista, adottando la politica definita della “via di mezzo”, che consiste nella rivendicazione di un’ampia autonomia culturale e amministrativa, seppur nel quadro della Repubblica Popolare Cinese. Un orientamento moderato che non ha cambiato il rigido atteggiamento di Pechino nei confronti dei tibetani e della loro leadership politica e religiosa. Il Dalai Lama continua a essere reputato un fuorilegge e lo storico, coloratissimo vessillo tibetano è severamente proibito.
Il Consiglio comunale, che già nel 2007 aveva nominato torinese onorario Tenzin Gyatso, ha ora approvato un ordine del giorno in sostegno del popolo tibetano. Le personalità istituzionali Il documento stigmatizza la politica seguita dal governo di Pechino negli anni successivi all’occupazione del Tibet e fino ad oggi, particolarmente nei confronti del clero buddista e in generale nei confronti della cultura e della lingua del Paese. Ancora l’anno scorso, ricorda l’atto approvato in aula, 300 monaci buddisti sono stati deportati dalle autorità cinesi in località non meglio precisate, per essere “rieducati”.
L’ordine del giorno chiede l’impegno dell’Amministrazione comunale e del Governo italiano nell’esortare le autorità della Repubblica Popolare Cinese a rispettare i diritti umani, le peculiarità linguistiche e culturali e la libertà di culto in Tibet, ratificando il Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Il documento, votato all’unanimità, è stato presentato dal consigliere Silvio Viale (PD), al quale si sono associati i consiglieri Nomis (PD), Tronzano, Marrone, Greco Lucchina e Liardo (PdL), Ricca, Carbonero e Cervetti (Lega Nord), Berthier (Torino Libera).

Nelle immagini, dall’alto: I monaci tibetani Shatrul Rinpoche e Jambal Topten. Sullo sfondo i consiglieri Carbonero, Ricca, Cervetti e Viale durante l’incontro a Palazzo Civico prima della riunione del Consiglio comunale. Più in basso: Il presidente del Consiglio comunale Giovanni Maria Ferraris e l’assessore Maria Cristina Spinosa con Shatrul Rinpoche.

Claudio Raffaelli